La cura intesa come attenzione alle necessità dell’altro è funzione tradizionalmente femminile che spesso lascia emergere la dicotomica tra la priorità dell’Io e la priorità dell’altro col risultato di ridurre le possibilità delle donne di esprimere le proprie potenzialità in ambito non solo professionale ma anche emotivo-affettivo.
Da una parte sembrerebbe necessario riabilitare la cura per emanciparla dalla sua tradizionale immagine svalutativa restituendo dignità alle nozioni di dipendenza e liberandola dagli aspetti sacrificali; però, dall’altra, sembrerebbe possibile fondare un’etica della responsabilità che faccia tesoro delle trasformazioni prodotte dalla civiltà della tecnica. Intendiamo dire che la tecnologia può fornire strumenti che possano farsi carico di una parte della cura riducendo la necessità del controllo assiduo.
Il rapporto di cura del familiare “fragile”, innesca specularmente la fragilità del soggetto che si dedica alla cura facendo emergere una reciproca responsabilità.
La conseguenza spesso è il malessere ulteriore indotto nell’anziano che si rende conto di sottrarre libertà al familiare coinvolto nella cura impedendone la realizzazione di un normale progetto di vita.
Inoltre, c’è il rischio di suscitare, prima o poi, quelle “passioni tristi”, come il risentimento e il rancore verso l’altro, che sono destinate a ridurre efficacia della cura.
Presania ritenendo che la cura non è l’attitudine “biologica” di un soggetto che trova la propria naturale vocazione nell’oblio di sé e nella dipendenza dall’altro, si propone con un sistema di vigilanza della salute del soggetto restituendo all’intera famiglia, autonomia, indipendenza e libertà.
Contestualmente il soggetto fragile mantiene una sua autonomia potendo contare sulla figura dell’altro “distante” (distante nello spazio, si tata di un gran numero di operatori che operano a distanza) ma presente in ogni istante.